Nell’arco di una giornata tocchiamo centinaia di oggetti, ma tocchiamo e siamo toccati da un numero molto più ristretto di persone. Perché?
Perché
quando tocchiamo qualcuno entriamo nella sua “distanza intima, uno spazio che ha
a che fare con la fisicità, ma ha ancora più a che fare con l’emozione. Se sono
nello spazio intimo di qualcuno, posso percepire particolari sottili, minuscole
variazioni, dettagli, elementi che sono capaci di raccontarmi l’altro, che sanno
farmi infrangere le barriere che fanno dell’altro “l’altro-da-me”, appunto, il “diverso-da-me”.
Attraverso
il tatto la barriera della diversità sparisce: l’altro è una forma che devo
scoprire, che voglio scoprire. L’altro non è a priori diverso, è un ‘qualcosa/qualcuno’
che voglio capire. Non emetto giudizi preliminari: tocco e conosco, tocco e
capisco. Non ho preconcetti: sommo mentalmente i particolari che colgo
attraverso le dita e conosco. Tutto qui. Le barriere cadono, il ‘diverso’
sparisce. Lo fanno i bambini, potremmo quasi pensare di abituarci anche noi
adulti…
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